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Paradiso Canto 20 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto ventesimo (canto XX) del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Illustrazione di Gustave Doré

Dopo che l’aquila ha concluso il suo discorso sulla predestinazione, le anime dei giusti riprendono i loro canti finché dal collo dell’uccel di Dio sale un mormorio che diventa ben presto voce. L’aquila indica a Dante gli spiriti che formano il suo occhio e che godono il più alto grado di beatitudine nel cielo di Giove. Il primo è Davide, l’autore dei Salmi; il secondo è Traiano, che conobbe, come sarà spiegato più avanti, anche il mondo della dannazione eterna; terzo appare il re ebraico Ezechia che, giunto in punto di morte, ottenne da Dio di poter vivere per altri quindici anni; il quarto spirito indicato è Costantino, che trasferì la capitale dell’impero romano da Roma a Bisanzio; nella parte bassa dell’arco sopracciliare dell’aquila si trova Guglielmo II, re di Sicilia e di Puglia; l’ultimo è il guerriero troiano Rifeo. A Dante, che ha manifestato il suo profondo stupore nel vedere due pagani, come Traiano e Rifeo, partecipi della beatitudine celeste, l’aquila spiega che il primo fu salvato per le preghiere di San Gregorio Magno e il secondo perché, amante della giustizia, ricevette da Dio il dono di conoscere la futura redenzione. Occorre dunque che gli uomini siano cauti nel giudicare quelli che sono dannati e quelli che sono salvi, perché neppure i locati conoscono ancora tutti gli eletti.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 20 del Paradiso. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Quando il sole, che illumina (alluma) tutto l’universo,
cala dal nostro emisfero, così che in ogni luogo
la luce del giorno si va spegnendo (si consuma), il cielo,
che prima brillava (s’accende) solo di esso,
improvvisamente torna a risplendere (si rifà parvente)
per i molti astri in cui si riflette l’unica luce (del sole);
e questo fenomeno (atto) del cielo mi venne in mente
quando l’Aquila, insegna dell’Impero e dei suoi capi (duci),
tacque nel suo santo becco (rostro);
così che tutti quegli ardenti spiriti, splendendo ancor di più,
iniziarono a intonare canti difficili e
impossibili da ricordare per la mia memoria (labili).
O santa carità che ti avvolgi (t’ammanti) di letizia (riso),
quanto ti mostravi splendente in quelle fiaccole (flailli)
che erano ispirate solo da beati pensieri!
Dopo che le preziose e lucenti gemme (lapilli)
da cui io vedevo incastonato il sesto pianeta (Giove)
fecero tacere i loro canti (squilli) paradisiaci,
mi sembrò di sentire come il mormorio delle acque
di un fiume che scende limpido di roccia in roccia,
dimostrando l’abbondanza (ubertà) della sua sorgente (cacume).
E come i suoni assumono le loro modulazioni
sul manico (collo) della cetra, e così come dal buco
(pertugio) della zampogna il soffio che vi entra, così,
tolta ogni esitazione e attesa, quel suono interno
(mormorar) dell’Aquila (aguglia) salì lungo il collo,
come se fosse bucato (bugio).
Lì si articolò in voce, e da lì uscì attraverso il
becco con parole distinte, quelle che desiderava
il mio animo nel quale io le impressi.
«Quella parte del mio corpo che nelle aquile
terrene regge la vista (vede e pate) del sole, (cioè l’occhio)»
cominciò a dirmi, «adesso devi osservare attentamente (fisamente),
poiché delle luci che formano la mia figura (figura fommi),
quelle di cui risplende nel mio capo l’occhio,
esse (e’) sono le anime più nobili di tutta la loro schiera (lor gradi).
L’anima che brilla al centro come pupilla, fu (Davide)
colui che cantò ispirato dallo Spirito Santo
e che trasportò (traslatò) l’Arca santa di città in città;
adesso sa quanto ha ben meritato per il suo canto,
come risultato (effetto) della sua volontà (consiglio),
poiché la ricompensa (remunerar) è a esso proporzionato (è altrettanto).
Delle cinque anime luminose che formano
l’arco del mio sopracciglio, quella più vicina (mi s’accosta) al becco
è (Traiano) colui che consolò la vedova per la morte del figlio:
adesso sa quanto si paga il non aver la fede in Cristo,
per la sua esperienza diretta di questa beatitudine paradisiaca e
della contraria dannazione nel limbo.
E l’anima successiva (Ezechia), nella parte
più alta del ciglio (circunferenza) di cui sto parlando,
differì (indugiò) la sua morte con la sua sincera penitenza:
ora sa che il giudizio divino non cambia,
quando una giusta preghiera (preco) sulla terra porta
a domani (fa crastino) ciò che dovrebbe accadere oggi.
La luce seguente (Costantino), con leggi e con me,
trasferì l’Impero in Oriente (si fece greco) per fare dono
di terre al papa (pastor), ottima intenzione che diede pessimi risultati;
ora sa che il male derivato (dedutto) dalla sua buona azione
non gli è stato dannoso, per quanto (avvegna che) da esso
il mondo sia stato mandato in rovina.
L’anima che brilla nella curva discendente (arco declivo) (del sopracciglio)
è il re Guglielmo II d’Altavilla, e lui rimpiangono (plora)
quei territori che adesso soffrono per colpa
dei re Carlo II d’Angiò e Federico II d’Aragona:
ora sa quanto Dio (ciel) ami (s’innamora) il re giusto,
e lo dimostra anche (ancora) nell’aspetto del suo splendore.
Chi potrebbe immaginare, laggiù sulla
terra peccatrice (errante), che il troiano Rifeo
sia la quinta anima beata di questo sopracciglio (tondo)?
Adesso egli sa molto di quello che l’uomo (’l mondo) non
può comprendere della bontà di Dio, anche se la
sua conoscenza non può raggiungere la perfezione (il fondo)».
Come un’allodola (allodetta) che vola nell’aria
dapprima cantando, quindi tacendo felice delle
ultime dolci note che la soddisfano pienamente (la sazia),
così mi sembrò l’Aquila, immagine dell’impronta (’mprenta) di Dio,
perfetta gioia, secondo il desiderio del quale
tutte le cose si fanno quello che sono.
E per quanto (avvenga ch’) rispetto al mio nuovo dubbio
io fossi trasparente come un vetro al colore dell’oggetto
che esso contiene (veste), non riuscii (patio) ad attendere in silenzio,
ma l’urgenza del dubbio mi spinse a dire:
«Come è possibile?» e per queste parole io vidi
una grande gioia nel farsi più brillante delle anime (di coruscar).
Subito dopo, mentre già l’occhio si era fatto
più ardente, il santo simbolo dell’Aquila mi rispose
per non lasciarmi sospeso nel mio meravigliato
dubbio: «Io so che tu hai fede in queste cose perché
io te le rivelo, ma non ne capisci il motivo, così che ti
rimangono oscure (ascose), anche se credute vere.
Sei come colui che ben conosce il nome di una
cosa, ma non sa coglierne l’essenza (quiditate) se
qualcun altro non gliela manifesta (prome).
Il regno dei cieli sopporta (pate) la violenza
che gli deriva da un’ardente carità e da un’intensa
speranza, che vincono la volontà divina; non come
l’uomo che supera (sobranza) l’altro uomo, ma esse
vincono la volontà divina perché questa vuole essere vinta,
e una volta vinta, a sua volta le supera in benignità (beninanza).
La prima e la quinta delle luci (Traiano e Rifeo),
che costituiscono il mio sopracciglio, ti colmano di stupore,
poiché vedi il cielo angelico adornato da loro.
Essi non abbandonarono il loro corpo da pagani (Gentili),
come tu pensi, ma da cristiani, con fede sicura l’uno (Rifeo)
nella futura passione di Cristo (i passuri … piedi) e l’altro (Traiano) nell’avvenuta crocifissione (passi).
Una (Traiano) tornò nel corpo (a l’ossa) dopo essere stata all’Inferno,
da dove (u’) non si può mai ritornare (non si riede) per redimersi (a buon voler);
e questo fu il premio (mercede) di un’ardente speranza:
l’ardente speranza che diede forza alle preghiere rivolte (da s. Gregorio)
a Dio perché l’anima di Traiano resuscitasse,
così che la sua volontà potesse essere convertita (esser mossa).
Lo spirito glorioso a cui mi riferisco, ritornato
nel suo corpo (carne), in cui rimase poco tempo,
dichiarò la sua fede in Dio che lo poteva salvare; e
con questo atto di fede si infiammò in tanto ardore
di giusto amore, che dopo la sua seconda morte fu
degno di salire a questa beatitudine (gioco).
L’altra anima (Rifeo) rivolse tutto il suo spirito
alla giustizia (drittura), per la grazia che gli instillò Dio,
eterna fonte alla cui sorgente (prima onda) nessuna creatura
poté mai spingere (pinse) la propria vista;
per cui, ricolmandola di sempre maggior grazia,
Dio gli rivelò la futura salvezza umana (per opera di Cristo);
e dunque egli ebbe fede in essa, e da quel momento
non sopportò più il lezzo del paganesimo;
e anzi rimproverò di questo i popoli traviati (perverse).
A battezzarlo furono le tre donne (le tre virtù teologali)
che tu hai visto sul lato destro (del carro allegorico),
più di mille anni prima dell’istituzione del battesimo.
O predestinazione, quanto imperscrutabile
è la tua origine per gli intelletti (aspetti) che non
possono capire pienamente (tota) Dio, causa prima di tutte le cose!
E voi, uomini, siate prudenti nell’esprimere giudizi:
che neppure noi beati, che vediamo Dio,
sappiamo già chi saranno tutti i prescelti alla salvezza (eletti);
e tale ignoranza (così fatto scemo) è per noi (ènne) piacevole,
perché la nostra felicità si perfeziona (s’affina) in questo piacere,
che la volontà di Dio è anche la nostra».
In questo modo mi fu donato da quella
santa immagine dell’Aquila il dolce rimedio per
comprendere i limiti della mia mente (mia corta vista).
E come l’abile citarista accompagna il bravo
cantante con il vibrare (lo guizzo) delle corde,
che rende ancor più piacevole il canto, così,
mentre essa parlava, mi ricordo che vidi le anime
luminose dei due beati (Traiano e Rifeo) lampeggiare in modo
concorde alle parole, proprio (pur) come è concorde
il movimento delle palpebre (batter d’occhi).



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