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La vergine cuccia, Parini: parafrasi, analisi, commento

Appunto di letteratura sul poemetto La vergine cuccia (Il giorno) di Giuseppe Parini con testo, parafrasi, analisi, figure retoriche e commento.
Vergine cuccia

La vergine cuccia è l'episodio più celebre de "Il giorno", un poemetto didascalico-satirico scritto da Giuseppe Parini. Occupa la parte dedicata al Mezzogiorno, le altre parti che però non riguardano il testo in questione sono il Mattino, il Vespro e la Notte. Il nostro eroe è al servizio della sua dama durante il pranzo, le offre la mano e si avvia verso la mensa, ma non perché ha fame (stimolo animalesco non appartenente ai nobili, bensì alla plebe), ma perché è mosso dal piacere di servirla. Mentre lui e altri personaggi mangiano, uno di loro è un grande mangiatore, mentre l'altro commensale è più schizzinoso e prova pietà per gli animali uccisi per il cibo. Il poeta usa questo senso di pietà per introdurre un episodio in cui un servo maltratta una cagnolina, da qui il titolo "Vergine cuccia", che vuol dire "giovane cagnetta". La dama, ricordando l'incidente, si indigna nuovamente contro il servo malvagio.





La vergine cuccia: scheda poema

In questa pagina trovate il testo e la parafrasi de La vergine cuccia di Giuseppe Parini e ci teniamo a precisare che entrambi iniziano dal verso 503 (Pera colui...), mentre alcuni libri lo fanno iniziare dal verso 517 (Or le sovviene...). Oltre la scheda, il testo e la parafrasi, trovate anche l'analisi del testo, le figure retoriche e il commento.

Titolo La vergine cuccia
Autore Giuseppe Parini
Genere Poemetto didascalico-satirico
Raccolta Il giorno
Data 1765 (Mezzogiorno)
Corrente letteraria Illuminismo e Neoclassicismo
Contesto storico Aristocrazia del Settecento
Temi trattati Il mondo aristocratico dietro le apparenze
Luogo Casa della Dama del giovin signore
Personaggi principali la Dama, il servo, la cagnetta
Frase celebre «Or le sovvien il giorno, | ahi fero giorno! allor che la sua bella | vergine cuccia de le Grazie alunna, | giovenilmente vezzeggiando, il piede | villan del servo con l’eburneo dente | segnò di lieve nota.»



Testo

«Pera colui che prima osò la mano
armata alzar su l’innocente agnella,
e sul placido bue: né il truculento
cor gli piegàro i teneri belati
né i pietosi mugiti né le molli
lingue lambenti tortuosamente
la man che il loro fato, ahimè, stringea».
Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto
al suo pietoso favellar dagli occhi
de la tua Dama dolce lagrimetta
pari a le stille tremule, brillanti
che a la nova stagion gemendo vanno
dai palmiti di Bacco entro commossi
al tiepido spirar de le prim’aure
fecondatrici.
Or le sovvien il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l’eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
gli scompigliati peli, e da le molli
nari soffiò la polvere rodente.
Indi i gemiti alzando: Aita, aita,
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei l’impietosita Eco rispose:
e dagl’infimi chiostri i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide, tremanti,
precipitâro. Accorse ognuno; il volto
fu spruzzato d’essenze a la tua Dama.
Ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore
l’agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo, e con languida voce
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
chieder sembrolle: e tu vendetta avesti,
vergine cuccia de le Grazie alunna.
L’empio servò tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d’arcani ufici: in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne,
dell’assisa spogliato, ond’era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
Signor sperò; ché le pietose dame
inorridîro, e del misfatto atroce
odîar l’autore. Il misero si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato, su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
e tu, vergine cuccia, idol placato
da le vittime umane, isti superba.



Parafrasi

(vv. 503-509) Muoia colui che per primo osò alzare la mano armata contro l'agnellina innocente e il bue tranquillo: non gli impietosirono il cuore crudele ne i teneri belati, ne i pietosi muggiti, ne le umide lingue che leccavano tutta intorno la mano che, purtroppo, stringeva in pugno il loro destino.

(vv. 510-526) Così parla quella persona, o Signore; e intanto per il suo discorso compassionevole sgorga dagli occhi della tua dama una tenera lacrimuccia, simile alle gocce tremolanti e brillanti che a primavera trasudano dalle viti del dio Bacco, scosse al loro interno dal tiepido soffio dei primi venti primaverili che fecondano la natura. Ora (la dama) si ricorda di quel giorno; ahimè, giorno terribile! Quel giorno la sua cagnetta, che era tanto aggraziata da sembrare allevata dalle Grazie, giocherellando come fanno i cuccioli lasciò un piccolo segno con il dente d'avorio al rozzo piede del servo; l'uomo, con sfrontatezza, le diede un calcio con il piede sacrilego, e la cagnetta rotolò per tre volte; per tre volte scosse il pelo scompigliato, e dalle sensibili narici soffiò via la polvere irritante.

(vv. 527-541) Poi, lanciando dei guaiti, sembrava che dicesse: aiuto, aiuto; e dalle volte dorate le rispose la ninfa Eco impietosita; dalle stanze inferiori salirono tutti i servi tristi, e dalle stanze superiori si precipitarono le damigelle pallide e tremanti. Tutti accorsero; il volto della tua dama fu spruzzato di profumi, e alla fine la donna si riprese; la rabbia e il dolore la agitavano ancora; gettò sguardi fulminanti sul servo, e con voce debole chiamò per tre volte la sua cagnetta; questa le corse in braccio; e nel suo linguaggio sembrò chiedere vendetta alla dama: e venisti vendicata, cagnetta allevata dalle Grazie.

(vv. 542-556) Il servo infame tremò; ascoltò la propria condanna con gli occhi rivolti verso il basso. A lui non servì nulla il merito di aver servito per vent'anni; a lui non servì nulla la premura dimostrata nell'eseguire incarichi riservati; invano pregò e promise; l'uomo se ne andò nudo, spogliato della veste grazie alla quale un tempo era rispettato e ammirato dal popolo. Invano sperò di trovare un nuovo padrone; perché le dame pietose inorridirono, e odiarono l'autore per il suo gesto malvagio. Il povero uomo rimase così, con i miseri figli e con la moglie vestita di stracci a lato di una via chiedendo inutilmente l'elemosina; e tu, cagnetta, potesti andartene fiera, come una divinità placata dai sacrifici umani.



Analisi del testo

Schema metrico: endecasillabi sciolti.

Leggendo il poemetto potrebbe sembrare che il poeta sia dalla parte della dama e contro il servo, ma non è così. Nel testo sono presenti espressioni ironiche che servono a nascondere la "disapprovazione" del poeta nei confronti del mondo aristocratico dell'epoca, ad esempio: "allevata dalle Grazie" (la cagnetta è paragonata a un'allieva delle Grazie per la sua eleganza); "dai denti d'avorio" (come se i denti di una cagnetta potessero essere d'avorio, ma usa questa espressione solamente per accrescerne ridicolmente il suo valore); "lieve nota" (sminuisce il morso della cagnetta definendolo un leggero segno); "giovenilmente vezzeggiando" (giocherellando).
E le parole negative rivolte al servo, come "villan", "sacrilego", "audace" (= senza scrupoli) sono descritte con un tono sarcastico, cioè esagerando volutamente proprio per far capire che il servo non merita questo trattamento.

Il punto di vista vero e proprio dell'autore lo troviamo nell'espressione pronunciata dal poeta in prima persona:
e tu vendetta avesti | vergine cuccia de le Grazie alunna

Da qui in poi il poeta mette da parte il tono ironico e sarcastico, e descrive la situazione che diventa drammatica a causa della decisione egoista e disumana della dama.

Il linguaggio usato da Parini è a volte alto a volte basso, per sottolineare il fatto che i personaggi del poemetto sono sia aristocratici sia servi e che entrambi meritano voce in capitolo.
  • Linguaggio alto: fero, cuccia, alunna, vezzeggiando, eburneo, parea, vulgo, isti;
  • Linguaggio basso: mano, bue, lingue, occhi, giorno, vergine, piede, servo, dente, peli, polvere, gemiti, stanze, volto, ira, dolore, sguardi, voce, vendetta, suolo, condanna, merito.



Figure retoriche

  • Anastrofe = "osò ... alzar la mano armata" (vv. 503-504).
  • Iperbato = "la man che ... stringea" (v. 509).
  • Apostrofe = "ahi fero giorno" (v. 518).
  • Anastrofe = "de le Grazie alunna" (v. 519), cioè "allevata dalle Grazie".
  • Allitterazione della V = "giovanilmente vezzeggiando" (v.520); "villan del servo" (v.521).
  • Allitterazione della C = "audace col sacrilego piè lanciolla" (vv. 522-523).
  • Metafora = "l'eburneo dente" (v. 521).
  • Sineddoche = "dente" (v.521).
  • Perifrasi = "segnò di lieve nota" (v. 522).
  • Iperbato = "ed egli audace ... lanciolla" (vv. 522-523).
  • Iperbole = "sacrilego piè" (v.523)
  • Anadiplosi = "tre volte" (v. 524).
  • Antitesi = "asceser" (v.531) e "precipitàro" (v.533).
  • Onomatopea = "aita, aita" (v. 527).
  • Personificazione = "Eco" (v.527).
  • Enumerazione per polisindeto = "E da le aurate volte ... e dall'infimi chiostri ... e da le somme stanze" (vv. 528-531).
  • Anastrofe = "d’essenze spruzzato" (v. 534).
  • Metafora = "fulminei sguardi" (v. 536).
  • Anastrofe = "vendetta chieder" (vv. 539-540)
  • Apostrofe = "e tu" (v. 540).
  • Epifora = "A lui non valse" (vv. 543-544)
  • Metafora = "idol placato da le vittime umane" (vv. 555-556).
  • Enjambement = "la mano / armata" (vv. 503-504); "truculento / cor" (vv. 505-506); "molli / lingue" (vv. 507-508); "bella / vergine cuccia" (vv. 518-519); "piede villan" (vv. 520-521); "molli nari" (vv. 525-526); "il volto / fu" (vv. 533-534); "vendetta chieder" (vv. 539-540); "novello / Signor" (vv. 548-549).



Commento

In questo episodio dell'opera Il giorno di Parini, il poeta critica aspramente la società del suo tempo. Un giorno, la cagnetta di una dama morde il piede di un servo e quest'ultimo le dà un calcio, causando lo svenimento della dama che ama la sua cagnetta come un figlio. Gli altri servitori e damigelle accorrono, cercando di soccorrere la dama svenuta. Nonostante il servo sia stato al suo servizio per vent'anni e si sia pentito del suo gesto, non riesce a farsi perdonare e viene licenziato. Rimasto senza lavoro, finisce per chiedere l'elemosina per strada insieme alla sua famiglia. E la cagnetta diventa una sorta di dea vendicatrice, col suo sguardo minaccioso, con la dama che la venera e il suo essere superiore agli altri. Il racconto fa parte di "Il Giorno" di Parini, in cui il poeta finge di essere il precettore di un giovane signore, esplorando la vuotezza e la meschinità della nobiltà oziosa del '700. Denuncia l'ingiustizia sociale e la falsa umanità delle classi nobili che dimostrano sentimenti di profondo affetto per gli animali, ma sono indifferenti alle sofferenze della gente comune, che viene trattata come se fossero degli oggetti. La sua satira diventa sarcastica e piena di indignazione nei confronti di una società oziosa, viziata, superba e crudele. Il poeta cerca di evidenziare gli aspetti negativi della cultura illuministica, combattendo per una dignità umana al di là delle divisioni sociali. Parini descrive la violenza e sofferenza dietro la facciata lussuosa della nobiltà, mostrando mendicanti intorno ai palazzi e la miseria di coloro che lavorano per mantenere l'ozio aristocratico. Il poema esprime ideali illuministi come l'uguaglianza, la simpatia verso gli umili e il rifiuto dell'ipocrisia e dell'oziosità.
Nonostante il suo sdegno morale, Parini non fu un rivoluzionario, ma un riformista che sperava in un cambiamento sociale attraverso un governo illuminato, sognando una società in cui agricoltori e artigiani lavorano dignitosamente dando spazio anche a un'aristocrazia dell'intelletto e dello spirito, privata della sua arroganza.



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