Canto 25, Giovanni Stradano, 1587 |
In questo canto dante e Virgilio incontrano il centauro Caco e rimangono a osservare cinque ladri fiorentini (Cianfa Donati, Agnello Brunelleschi, Buoso Donati, Puccio Sciancato e Francesco dei Cavalcanti) mentre scontano la loro pena subendo delle orrende metamorfosi.
Analisi del canto
La pena dei ladriLe trasformazioni continue a cui devono sottostare i ladri servono a farci comprendere la potenza divina in grado di ridurre la bestiale condizione umana a un materiale deformabile secondo la propria volontà.
Il tema politico
Dopo Vanni Fucci — che provoca l'invettiva violenta contro Pistoia —, i dannati incontrati nella bolgia sono tutti fiorentini: Dante prepara l'aspra condanna di Firenze che aprirà il canto successivo.
Il vanto poetico di Dante
Quando in questo canto Dante descrive le metamorfosi sa che scrivendo qualcosa di straordinario e superiore rispetto ai modelli classici e si vanta di questo mettendosi in competizione con Ovidio e Lucano (vv. 94-102). Ecco quali sono:
- la duplicità e reciprocità delle metamorfosi, cui un uomo si trasforma in rettile e il rettile in uomo;
- la descrizione delle metamorfosi nel processo, e non solo nel risultato finale.
Commento
I primi versi del canto lo collegano a quello precedente e chiudono l'episodio di Vanni Fucci nel modo più volgare possibile: con una provocazione verso Dio. Questo per Dante è un atto assai spregevole e, infatti, questa volta non prova alcuna compassione quando i serpenti attaccano il dannato.Il racconto ha un tono più elevato quando l'autore interviene attraverso un'invettiva contro Pistoia. Successivamente l'apparizione del mostruoso Caco e le pacate delucidazioni di Virgilio sembrano essere secondarie nel canto perché hanno la sola funzione di poter parlare della frode e di mantenere viva l'immagine orrenda delle serpi, su cui si imposterà con ben altra originalità il resto del canto.
Dopo il leggendario Caco subentrano altri tre spiriti, anch'essi fiorentini, che attirano più fortemente la sua attenzione.
L'appello al lettore, che introduce il primo straordinario fenomeno di metamorfosi (il serpente in uomo), è segno di consapevolezza da parte del poeta dell'eccezionale prova artistica che egli sta per esporre. Anche per la seconda metamorfosi (l'uomo in serpente) l'autore si dimostra consapevole e orgoglioso e si vanta sugli illustri maestri latini (Lucano e Ovidio).
In seguito, l'autore si riprende dallo straniamento psicologico e morale causato dall'orrido spettacolo e sente risorgere in sé lo sdegno verso quella che è una società corrotta. Per questo motivo, all'inizio del canto successivo, userà la sarcastica anastrofe contro Firenze, per mettere in risalto il fatto che molti dannati provengono proprio da questa città, la sua città.
Le figure retoriche
Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del venticinquesimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 25 dell'Inferno.Fuor le serpi amiche = anastrofe (v. 4). Cioè: "le serpi mi furono amiche".
Ahi Pistoia, Pistoia = apostrofe (v. 10).
Cerchi de lo ’nferno scuri = iperbato (v. 13). Cioè: "per tutti i cerchi oscuri dell'Inferno".
In Dio tanto superbo = anastrofe (v. 14). Cioè: "tanto superbo contro Dio".
Non quel che cadde a Tebe giù da’ muri = perifrasi (v. 15). Per indicare Capaneo.
Maremma non cred’io che tante n’abbia, quante bisce elli avea su per la groppa = similitudine (vv. 19-20). Cioè: "Non credo che in Maremma ci siano tante bisce quante erano quelle che costui aveva sulla groppa".
Con l’ali aperte li giacea un draco = anastrofe (v. 23). Cioè "era posto un drago con le ali aperte".
Di sangue fece spesse volte laco = anastrofe (v. 27). Cioè: "spesso produsse un lago di sangue".
E tutto a lui s’appiglia = anastrofe (v. 51). Cioè: "e tutto si aggrovigliò a lui".
Le braccia prese = anastrofe (v. 53). Cioè: "gli afferrò le braccia".
Li diretani a le cosce distese = anastrofe (v. 55). Cioè: "distese le zampe posteriori sulle cosce".
Ellera abbarbicata mai non fue ad alber sì, come l’orribil fiera per l’altrui membra avviticchiò le sue = similitudine (vv. 58-60). Cioè: "L'edera non si abbarbicò mai ad un albero come quella orribile fiera era avvolta alle membra del dannato".
Come procede innanzi da l’ardore, per lo papiro suso, un color bruno che non è nero ancora e ’l bianco more = similitudine (vv. 64-66). Cioè: "come quando si dà fuoco a un papiro, davanti alla fiamma avanza verso l'alto un colore bruno che non è nero ancora e il bianco sparisce".
Due e nessun l’imagine perversa parea = anastrofe (v. 77). Cioè: "l'immagine trasformata sembrava l'uno e l'altro".
Come ’l ramarro sotto la gran fersa dei dì canicular, cangiando sepe, folgore par se la via attraversa, sì pareva, venendo verso l’epe de li altri due = similitudine (vv. 79-83). Cioè: "Come il ramarro, cambiando siepe sotto il sole estivo, sembra un fulmine quando attraversa la via, così appariva come un serpentello strisciando verso il ventre degli altri due".
L’imagine perversa / parea = enjambement (vv. 77-78).
La gran fersa / dei dì canicular = enjambement (vv. 79-80).
Livido e nero come gran di pepe = similitudine (v. 84). Cioè: "livido e nero come un granello di pepe".
Quella parte onde prima è preso nostro alimento = perifrasi (v. 85-86). Per indicare l'ombelico.
Ma nulla disse = anastrofe (v. 88). Cioè: "ma non disse nulla".
Sbadigliava pur come sonno o febbre l’assalisse = similitudine (v. 89-90). Cioè: "sbadigliava come se fosse colpito dal sonno o dalla febbre".
A cambiar lor matera fosser pronte = anastrofe (v. 102). Cioè: "fossero pronte a cambiare la loro materia".
Si facea molle, e quella di là dura = antitesi (v. 111). Cioè: "la sua pelle si ammorbidiva mentre quella dell'uomo si induriva".
Tanto allungar quanto accorciavan quelle = antitesi (v. 114). Cioè: "allungarsi tanto quanto le braccia si accorciavano".
Insieme attorti = anastrofe (v. 115). Cioè: "attorcigliate insieme".
Di color novo = anastrofe (v. 119). Cioè: "di un nuovo colore".
E genera ’l pel suso per l’una parte e da l’altra il dipela = antitesi (v. 119-120). Cioè: "generando pelo su uno dei due e levandolo all'altro".
L’un si levò e l’altro cadde giuso = antitesi (v. 121). Cioè: "uno dei due si alzò e l'altro cadde a terra".
E li orecchi ritira per la testa come face le corna la lumaccia = similitudine (vv. 131-132). Cioè: "e ritrae le orecchie nella testa, come fa la lumaca con le corna".
Li occhi miei confusi fossero alquanto = anastrofe (vv. 144-145). Cioè: "i miei occhi fossero alquanto confusi".
Ed era quel che sol, di tre compagni che venner prima, non era mutato = iperbato (vv. 149-150).