Virgilio mostra a Dante le fiammelle dei consiglieri fraudolenti, illustrazione di Paul Gustave Doré. |
In questo canto Dante si trova dove sono puniti i consiglieri fraudolenti (VIII Bolgia - VIII Cerchio), cioè condottieri e politici che non agirono con le armi e con il coraggio personale ma con l'acutezza spregiudicata dell'ingegno. Qui incontra Ulisse e Diomede che sono avvolti dalla stessa fiamma; il primo dannato racconta a Dante e Virgilio le circostanze che lo hanno condotto alla morte.
Analisi del Canto
La strutturaQuesto è uno dei canti più celebri del poema e può essere suddiviso in tre parti:
- invettiva contro Firenze;
- descrizione della bolgia e pena dei dannati;
- incontro con Ulisse.
L'invettiva contro Firenze
Nel precedente canto (vv. 10-12 del canto XXV) l'invettiva era rivolta a Pistoia, in questo canto invece è rivolta Firenze ed è particolarmente violenta ed ha la forma di una maledizione biblica pronunciata con sarcasmo in quanto Firenze ha poco da godere per la sua ricchezza che è basata sulla corruzione ed è ben nota per la presenza di ladri (parecchi fiorentini andranno all'Inferno) e se ne profetizza la futura decadenza.
Il paesaggio
Mentre le Malebolge erano caratterizzate da un clima cupo e oppressivo, la bolgia di questo caso presenta un clima sereno e riposante, infatti i dannati non subiscono torture o metamorfosi. È l'atmosfera ideale per ascoltare quello che avrà da dire Ulisse.
Il canto di Ulisse
Dante non utilizza le informazioni di Omero per descrivere il personaggio di Ulisse, bensì gli preferisce quelle di Ovidio, Stazio e Virgilio e più in generale quelle che si sono diffuse nel mito della letteratura medievale. Inoltre Ulisse che dovrebbe rappresentare l'eroe della conoscenza, ovvero colui che ha attraversato mari e monti guidato dal desiderio di vedere e sapere più cose possibili riguardo le cose del mondo, in questo canto viene visto in un'altra ottica, meno romanzata e più realistica: Dante lo condanna per la sua presunzione di poter raggiungere aree irraggiungibili della Terra senza l'aiuto divino ed è per questo che il suo viaggio non poteva che essere una catastrofe annunciata o, come Ulisse stesso lo descrive, "un folle volo".
Commento
Dopo l'invettiva contro i ladri fiorentini, l'attenzione di Dante è catturata da una lingua di fuoco biforcuta. L'immagine allude alla doppiezza e fa pensare alla lingua del serpente, l'animale che, nel mito e nella cultura popolare, indica l'astuzia maligna. La fiamma a due punte fascia le anime di una coppia nota nel mondo antico: Ulisse e Diomede, compagni d'inganni e di frode. Dante si mostra desideroso di parlare con questa strana fiamma, ma Virgilio lo blocca: sarà lui stesso a condurre il colloquio, perché si tratta di personaggi del mito greco. Da ciò si intuisce che l'incontro è importante e che la mediazione di Virgilio si impone. Dei due parla la punta più lunga, narrando la propria fine. È in questo racconto che si concentra il tema che interessa Dante. La narrazione segue il tono epico richiesto dal personaggio, ma anche dalla trattazione di grandi temi umani: è stato così per Francesca (Inferno, canto V) e per Farinata (Inferno, canto X). Il discorso si sviluppa sul motivo della conoscenza che, per Ulisse, diventa uno scopo da perseguire a ogni costo. Non basta l'affetto per il figlio Telemaco e per il vecchio padre, né l'amore per Penelope a spegnere questo insaziabile bisogno che contraddistingue in maniera specifica l'eroe e dovrebbe distinguere l'uomo dagli animali: fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza. L'uomo non è stato creato per una vita vegetativa, tipica degli animali, ma per cercare continuamente la virtù, intesa come valore, forza, coraggio (affine al termine greco dynamis) e conoscenza. L'uomo si connota per la necessità di capire, per lo sviluppo che in lui hanno i valori dell'intelligenza: è un'affascinante proposta di vita, tant'è che tutti i compagni di Ulisse l'accolgono con la stessa intensa passione. Così una schiera di vecchi eroi che meriterebbero il riposo si proietta verso un sogno grandioso: conoscere il mondo sanza gente (secondo la cosmologia dantesca, l’emisfero sud del mondo era disabitato perché completamente ricoperto dall’oceano). Animati da questa motivazione iniziano un folle volo verso l'ignoto. Folle è infatti chi sfida l'inconoscibile, inoltrandosi al di là delle Colonne d'Ercole, nel mondo vietato all'uomo, chi crede di poter superare con le sue sole forze i limiti tipici della natura umana: il risultato è l'annientamento totale. Quando apparirà la montagna del Purgatorio, all'improvvisa gioia subentrerà la tragedia e la fatale fine. Il Purgatorio non è mondo da conoscere con lo sguardo pagano di chi, finito, pretende di cogliere l'infinito, e l'immagine di questi vecchi che remano all'impazzata suggerisce l'idea di ciechi che corrono sbandati senza meta. Dal racconto, tuttavia, si capisce che Ulisse, come già Francesca, non sa spiegarsi la sua tragedia, sa solo descriverla: la morte ha fissato per sempre una condizione psicofisica senza concedere alcuno sviluppo conoscitivo. Anche Dante si interroga sulla sua sorte, ma il poeta, che ha vissuto il dramma della selva oscura, ha ormai la risposta: "l'errore è stato nel fare della conoscenza un dio. Egli, invece, ha ancorato il suo forte bisogno di conoscere senza ricondurre le sue conoscenza all'esperienza: fra le grandi braccia di Dio si è aperto un varco all'infinito.Le figure retoriche
Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del ventiseiesimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 26 dell'Inferno.Godi, Fiorenza = apostrofe (v. 1). Cioè: "rallegrati Firenze".
Batti le ali = analogia (v. 2).
Del ver si sogna = anastrofe (v. 7). Cioè: "si sogna la verità".
Lo piè sanza la man non si spedia = iperbato (v. 18). Cioè: "il piede non riusciva a muoversi senza l'aiuto della mano".
Virtù nol guidi = anastrofe (v. 22). Cioè: "senza la guida della virtù".
O miglior cosa = perifrasi (v. 23). Cioè: "o una forza maggiore, ovvero la grazia divina".
Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, nel tempo che colui che ’l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, come la mosca cede alla zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dov’e’ vendemmia e ara: di tante fiamme tutta risplendea l’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi tosto che fui là ’ve ’l fondo parea = similitudine (vv. 25-33). Cioè: "Quante lucciole vede giù nella valle il contadino che si riposa sulla collina, quando il sole che rischiara il mondo tiene meno nascosta a noi la sua faccia, quando la mosca lascia il posto alla zanzara, forse nel posto dove egli vendemmia oppure ara: di altrettante fiammelle risplendeva tutta l'ottava bolgia, come io vidi non appena fui là da dove il fondo era visibile".
Nel tempo che colui che ’l mondo schiara la faccia = perifrasi (vv. 26-27). Per indicare l'estate.
Mosca...zanzara = sineddoche (v. 28). Il singolare per il plurale.
Colui che si vengiò con li orsi = perifrasi (v. 34). Per indicare Eliseo.
E qual colui che si vengiò con li orsi vide ’l carro d’Elia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levorsi, che nol potea sì con li occhi seguire, ch’el vedesse altro che la fiamma sola, sì come nuvoletta, in sù salire: tal si move ciascuna per la gola del fosso = similitudine (vv. 34-42). Cioè: "E come colui (Eliseo) che trovò vendetta con gli orsi vide il carro d'Elia che partiva, quando i cavalli si levarono alti nel cielo, e non lo poteva seguire con lo sguardo senza vedere altro che la fiamma, che saliva su come una nuvoletta: così si muove ogni fiamma per le strettoie della bolgia".
Caduto sarei = anastrofe (v. 45).
Che così fosse = anastrofe (v. 51). Cioè: "che fosse così".
Vedi che del disio ver’ lei mi piego = anastrofe (v. 69). Cioè: "vedi che mi piego verso di essa dal desiderio"
S’io meritai di voi = anafora (vv. 80-81).
Vincer potero = anastrofe (v. 97). Cioè: "poterono vincere".
Del mondo esperto = anastrofe (v. 98). Cioè: "esperto del mondo".
Ma misi me = anastrofe (v. 100). Cioè: "ma mi misi".
Con un legno = sineddoche (v. 101). La parte per il tutto, il legno invece che la nave.
Compagna / picciola = enjambement (v. 101-102).
L’isola d’i Sardi = metonimia (v. 104). Gli abitanti invece del luogo, la Sardegna.
Vecchi e tardi = endiadi (v. 106).
A questa tanto picciola vigilia / d’i nostri sensi ch’è del rimanente = perifrasi (vv. 114-115). Per indicare la poca vita rimasta.
Non vogliate negar = litote (v. 116).
Viver come bruti = similitudine (v. 119). Cioè: "vivere come bestie".
De’ remi facemmo ali al folle volo = metafora (v. 125). Cioè: "facemmo dei remi le ali al nostro folle volo".
Apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna = perifrasi (vv. 133-135). Per indicare la montagna del purgatorio.
Allegrammo...pianto = antitesi (v. 136).
Tosto tornò in pianto = allitterazione della t (v. 136)
Un turbo nacque = anastrofe (v. 137). Cioè: "nacque una tempesta".
Del legno = sineddoche (v. 138). La parte per il tutto, il legno invece che la nave.
Del legno il primo canto = anastrofe (v. 138). Cioè: "la parte anteriore della nave"
Com’altrui piacque = perifrasi (v. 141). Cioè: "come altri stabilì, ovvero Dio".
De l’altro polo vedea la notte = anastrofe (v. 127). Cioè: "la notte mostrava già le stelle dell'altro polo".