L'aquila delle anime parla a Dante, illustrazione di Gustave Doré |
La narrazione
I canti della giustiziaÈ il canto centrale della triade che, nel cielo di Giove, affronta il tema della giustizia attraverso la grandiosa figurazione dell'aquila parlante. Nel canto precedente Dante aveva narrato la sua ascesa e la mirabile visione dell'Aquila, nel successivo tratterà della Provvidenza divina attraverso le miracolose vicende di singole anime. Qui invece affronta il nodo centrale della questione: il mistero della giustizia divina.
Il canto si articola in tre momenti principali:
- l'apertura figurativa con le prime parole dell'Aquila sulla propria essenza;
- l'Aquila scioglie il dubbio di Dante sulla giustizia divina;
- invettiva dell'Aquila contro i malvagi re e potenti cristiani.
I temi
La giustizia divina e il destino dei paganiIl problema che occupa gran parte del canto e su cui si impianta la trattazione sulla giustizia divina è quello del destino di dannazione di quegli uomini che furono buoni e saggi, ma che non poterono conoscere la religione cristiana poiché vissero in luoghi e tempi lontani da quelli della sua diffusione. Si tratta di un tema che evidentemente turbò molto Dante, cui facevano capo i suoi principali dubbi dottrinali: la giustizia divina, la predestinazione, il libero arbitrio, le influenze astrologiche. La risposta dell'Aquila non è rivolta alla ragione, alle virtù intellettuali dell'uomo, bensì fa riferimento alle virtù teologali, principalmente alla fede: la risposta è contenuta nelle Scritture, e comprenderne il perché non è possibile, poiché il giudizio divino non può essere compreso completamente da nessuno; ma ogni uomo di fede sa che ciò che discende da Dio non può essere che bene. Così si afferma nel modo più assoluto il principio di autorità della rivelazione tramite le scritture, la cui rigidità (cfr. vv. 102-103) verrà poi circostanziata e umanizzata nel canto seguente. Lì infatti l'intera questione sarà completamente chiarita, nel segno anche della carità e provvidenzialità divina: i casi miracolosi di due "pagani" quali Rifeo Troiano e l'imperatore Traiano presenti in Paradiso saranno esempio di come la giustizia di Dio possa comunque contemplare la salvezza delle anime buone. Si tratta di una questione, e di una risposta, che già aveva anticipato Virgilio nel canto III del Purgatorio, quando con toni altrettanto asseverativi (ma con minore autorevolezza e assolutezza rispetto all'Aquila celeste) aveva dichiarato che la ragione umana non poteva penetrare al fondo dei principi divini, ma doveva accontentarsi della loro affermazione. Da notare ancora come il tema della giustizia in generale prenda spunto dall'ingiustizia particolare subita da Dante, cioè dal suo esilio, di cui Cacciaguida era stato l'annunciatore nel canto xviii.
La comunione delle anime
Dopo la mistica croce del cielo di Marte, ecco la gloriosa immagine dell'Aquila, anch'essa composta dall'insieme delle anime giuste. Qui l'insistenza è ancora più accentuata dallo stupore di Dante nel sentirle parlare con un'unica voce e al singolare: è figurazione della comunione di carità in cui gli spiriti beati godono la loro beatitudine.
Il tema storicomorale: l'invettiva contro i Re corrotti
Dopo la disquisizione dottrinaria della prima parte, nell'ultima sequenza (vv. 103-148) Dante recupera i toni della poesia storica e morale, tanto più opportuna in questo cielo. L'invettiva contro i re e i signori cristiani che invece di operare per il trionfo della giustizia, come sarebbe loro specifico compito, esercitano il potere per interessi personali, diventa una mappa geografica di storia contemporanea e di passione politica che collega il tema della giustizia divina a quello della giustizia terrena, sullo sfondo apocalittico del giorno del Giudizio universale. Tra questi, compaiono senza impedimenti (quasi Dante avesse subito accolto l'indicazione di Cacciaguida), i nomi dei re più potenti del tempo, protagonisti delle vicende sociali della Cristianità: l'imperatore di Germania Alberto d'Asburgo, il re di Francia Filippo il Bello, il re di Napoli Carlo d'Angiò.
Le forme
Il registro colto della lingua poeticaIl linguaggio e lo stile del canto appartengono al registro poetico più alto di Dante, in rapporto agli argomenti trattati. Da qui deriva anche la sua relativa complessità. Nella prima parte è evidente il prevalere del linguaggio dotto della filosofia e della teologia scolastica, articolato nel tipico impianto logico-espressivo della trattazione dottrinaria e intessuto di riferimenti e citazioni scritturali. Nella seconda parte si tratta invece del linguaggio oratorio e figurato dell'invettiva storico-morale, in cui ricorrono anche termini di aspro realismo. In entrambi i casi il poeta ricorre a perifrasi e allusioni colte che enfatizzano, spiegano e decorano l'oggetto concreto del discorso. Ad avvicinare al lettore tanto il ragionamento teologico quanto la trattazione risultano particolarmente efficaci le frequenti similitudini e metafore.
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