de l'alto lume parvemi tre giri di tre colori e d'una contenenza |
Analisi del canto
Il canto di DioIl viaggio oltremondano di Dante raggiunge la sua meta. Nella visione di Dio e nell'assunzione finale del poeta all'armonia celeste trovano compimento tutte le tensioni umane, morali, storiche e religiose che hanno ispirato il poema. Il canto è diviso in due parti:
- la preghiera di S. Bernardo alla Vergine e la sua intercessione per Dante presso Dio (vv. 1-45);
- la progressiva conquista da parte di Dante della diretta visione di Dio, fino alla folgorazione finale (vv. 46-145).
Le costanti strutturali
- Ineffabilità e indicibilità della visione di Dio. Caratteristica di tutta la terza cantica, la denuncia da parte di Dante dell'impossibilità di riferire a parole la propria esperienza che raggiunge il suo punto più alto proprio in questo canto. Si tratta di un'insistenza quasi ossessiva, in qualità e in quantità, che diventa struttura della narrazione e del pensiero: la leggiamo ai vv. 55-57, 82-84, 106-108, 121-123, 139.
- La luce. Dante, nella descrizione delle realtà del Paradiso, ricorre come strumento essenziale alle figurazioni della luce e all'atto del «vedere». È dunque ovvio che per rappresentare la visione somma, cioè Dio, vi ricorra con speciale intensità e frequenza. Le immagini di luce e di visione strutturano tutta la seconda parte del canto: cfr. vv. 67-70, 76-78, 83-84, 100-105, 109-120, ecc.
La preghiera alla Vergine
L'orazione di S. Bernardo alla Vergine (vv. 1-39) costituisce l'ultima testimonianza del culto mariano di Dante. Si tratta del momento finale dell'esperienza poetica di Dante prima della sublime visione di Dio: sottolinea dunque la funzione della Madonna quale supremo, necessario tramite fra l'uomo e Dio. È anche l'ultima preghiera delle tante che percorrono la Commedia (ricordiamo almeno il Padre nostro del canto xi nel Purgatorio), ed è divisa secondo la tradizione in due parti: la lode alla Madonna e la richiesta di grazia e intercessione. Attraverso S. Bernardo, è la preghiera di Dante e dell'umanità intera a colei che è madre degli uomini e loro «avvocato» presso il Padre.
La visione di Dio
La seconda parte del canto (vv. 49-145), conclusiva dell'opera, propone al poeta l'impresa più impegnativa: descrivere la visione di Dio. Annotiamo alcuni macroscopici aspetti narrativi, poetici e ideologici:
- La solitudine di Dante davanti a Dio: dall'ultimo cenno di S. Bernardo al v. 49 fino alla fine del canto, tutta la realtà intorno a Dante sembra scomparire, per lasciare spazio solo allo sguardo del poeta che cerca di penetrare nella luce di Dio e coglierne l'essenza.
- Indicibilità della visione di Dio: l'impossibilità per Dante di descrivere le cose viste nel suo eccezionale viaggio assume rilievo primario in Paradiso. Ora diventa praticamente il tema principale della sua poesia, poiché questa visione finale si rivela essere soprattutto la denuncia di un'impotenza. Da qui deriva l'accumulazione di immagini indicanti la labilità, l'insufficienza, l'impossibilità della sua visione.
- La rappresentazione di Dio: come in tutto il Paradiso, la rappresentazione è anche qui affidata alla luce; solo che qui la luce non disegna nulla, perché è essa stessa la verità di Dio. Da strumento di raffigurazione, la luce diventa quindi oggetto protagonista della raffigurazione. Solo nel finale, per esprimere in termini visibili i misteri della Trinità e dell'Incarnazione, Dante propone l'immagine dei tre cerchi sovrapposti, identici ma di colore diverso (fenomeno impossibile dal punto di vista della scienza ottica).
- L'armonia universale, la Trinità, l'Incarnazione: sono i tre sommi misteri della fede cristiana, che Dante coglie nell'attimo finale. In particolare, il poeta si sofferma su quello dell'Incarnazione, da cui dipende il destino dell'umanità. A questa intuizione mistica è da collegare la folgorazione conclusiva, grazie alla quale riesce a comprendere l'ultima verità che lo rende definitivamente partecipe della divina armonia universale.
Similitudini e metafore
Fra le molteplici strategie formali adottate da Dante in questo canto, senz'altro il più impegnativo di tutta l'opera, eccelle quella del linguaggio figurato. Segnaliamo qui almeno le similitudini e le metafore) più rilevanti: il ricordo della visione di Dio è per Dante come un sogno di cui rimane solo l'emozione (vv. 58-61); il ricordo della visione di Dio si è dissolto in Dante come la neve al sole, come le parole delle profezie della Sibilla al vento (vv. 64-66); un solo istante della visione di Dio è per Dante motivo di oblio più di quanto siano stati venticinque secoli per l'impresa degli Argonauti (vv. 94-96); il parlare di Dante sarà più insufficiente di quello di un neonato che ancora prende il latte dalla mammella (vv. 105-106); il secondo cerchio della visione divina sembra originato dal riflesso del primo, come un arcobaleno da un altro arcobaleno (vv. 118-119); Dante cerca di comprendere il rapporto tra l'immagine umana di Cristo e il cerchio in cui è rappresentata la divinità, come lo studioso di geometria cerca la quadratura del cerchio (vv. 133-138).
Commento
A l'alta fantasia qui manco possaLa Commedia volge al termine e sta per concludersi anche il viaggio escatologico di Dante: il pellegrino, che ha conosciuto l'abisso dell'Inferno e la serenità del Purgatorio e ha assaporato, in parte, la luminosità del Paradiso, si appresta a cogliere il frutto estremo delle sue fatiche: la visione diretta di Dio. Prima però gli è concesso di vivere il dolce incontro con Colei che fa tramite tra l'uomo e Dio. Sulle orme di San Bernardo, Dante si volge alla Vergine per innalzarle una preghiera di lode e di amore. I termini fortemente ossimorici (vergine-madre; figlia del tuo figlio; umile-alta) introducono il mistero fondamentale di Maria, che si incentra sul suo essere una donna comune, ma insieme madre di Dio. La complessità della figura di Maria va perciò inserita nella semplicità del rapporto del fedele con la sua maestosità, che si connota in termini di affetto materno, amicizia amorevole e genuina. Maria si fa tramite della salvezza umana ed è attraverso lei che Dante può giungere a vedere Dio. La sua vista infatti si fa sempre pia acuta man mano che più intensa diventa la luce che lo colpisce. La memoria non regge, ma resta la sensazione di una luminosità sovrumana, in cui l'Io finito si è confuso con la smisurata infinitezza di Dio e ne ha attinto il senso profondo. S'affaccia il mistero della Trinità e, nel centro di tre cerchi concentrici, Dante coglie la nostra figura, il Dio fatto uomo. Il pellegrino ha raggiunto il suo scopo: l'itinerario della mente in Dio si e compiuto e il percorso intellettuale passato dalla nera notte di una selva oscura alla chiarezza di un mezzo
giorno intenso. Dante, che ha ormai conosciuto la sommità dell'amore e del sapere, non potrà più distaccarsene, perché è in Dio che anche la sua intelligenza trova l'appagamento. Ancora una volta il poeta ribadisce che il male allontana l'uomo dalle sue più alte possibilità, da quelle radici che, poste nella sua finitezza terrena, lo dovrebbero proiettare nell'infinito divino. Il male è infatti ottenebramento della mente, insoddisfazione del cuore, in breve, infelicità. Nella necessita di consegnare un messaggio di gioia e di speranza, nella visione di un Dio buono e amico, disposto ad aiutarla a raggiungere la consapevolezza di sé e il senso profondo del vivere, tutta l'ansia terrena dell'uomo in ricerca e la fede del cristiano nel messaggio di salvazione eterna. Dante non avrebbe mai accettato un Dio che gli imponesse di non pensare, di non amare, di rifiutare la sua natura umana; d'altra parte, il suo Dio, in quanto tale, doveva necessariamente spezzare le barriere del contingente. All'humanitas (= umanità, in senso spirituale) acquisita dagli scrittori latini, il cristiano Dante aggiunge la trascendenza, che trasporta l'umano nella dimensione dell'infinito divino. Nella luce potentissima di Dio, l'uomo Dante, rappacificato con se stesso e con gli altri, dopo aver sperimentato la negatività del male che esclude dai processi più alti della carità e della conoscenza, supera le Colonne d'Ercole, uniformando il suo volere a quello assoluto di Dio. L'uomo ha spezzato i confini terreni e, attraverso la poesia, si è aperto la strada dell'eternità.