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Paradiso canto 6 Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del sesto canto del Paradiso (Canto VI) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Giustiniano nel mosaico di San Vitale a Ravenna.

Analisi del canto

Il canto di Giustiniano
Caso unico nella Commedia, il canto è occupato per intero da un discorso diretto, quello dell'imperatore Giustiniano. Il suo monologo è articolato in tre parti:
  1. esposizione della storia provvidenziale del potere di Roma;
  2. invettiva politica contro guelfi e ghibellini;
  3. presentazione delle anime del cielo di Mercurio, con particolare attenzione a Romeo di Villanova.


Giustiniano, Ciacco, Sordello

Fra le corrispondenze più celebri all'interno della Commedia, c'è il parallelismo fra i tre «canti politici», i canti sesti delle rispettive cantiche. Nell'inferno Ciacco aveva condannato la corruzione di Firenze; nel Purgatorio il poeta Sordello da Goito aveva dato occasione per stigmatizzare le divisioni che dilaniavano l'Italia; ora a Giustiniano è affidata la polemica contro le partigianerie che dividono l'Impero cristiano. Per questo, il canto di Giustiniano troverà la sua più corretta interpretazione in rapporto con gli altri due canti del «trittico», nell'articolarsi del discorso politico in un crescendo geografico, morale e politico.


Le costanti strutturali
Riconosciamo nel canto alcuni degli elementi costanti nella costruzione del Paradiso:
  1. conferma della perfetta beatitudine e perfetta giustizia del Paradiso (vv. 112-126);
  2. la venuta in primo piano di un secondo personaggio in finale di canto (qui si tratta di Romeo di Villanova: vv. 127-142).


La visione provvidenzialistica della storia
La grandiosa esposizione della storia del potere romano contenuta nel discorso di Giustiniano diventa nei versi di Dante interpretazione politica e dichiarazione della sua visione provvidenzialistica della Storia: la Provvidenza divina ha investito Roma del glorioso compito di riunificare sotto il suo impero tutto il mondo, perché fosse disposto ad accogliere l'evento decisivo per i destini dell'umanità intera: la nascita di Cristo, con la conseguente redenzione e la diffusione universale del cristianesimo. Da qui l'aspra invettiva politica contro le partigianerie di guelfi e ghibellini che per meschini affanni di potere ostacolano il realizzarsi del disegno divino nella politica imperiale. Dal Comune (la Firenze di Ciacco nel canto vi dell'inferno) alla Nazione (l'Italia di Sordello da Goito nel canto vi del Purgatorio) all'Impero qui esaltato da Giustiniano, Dante coinvolge nella sua indignazione la politica dell'intera società cristiana, e dichiara la sua visione universalistica dell'organizzazione del mondo: la teoria dei due poteri investiti direttamente da Dio, quello spirituale e quello materiale, affidati rispettivamente al Papato e all'Impero, strumenti autonomi e concordi nel realizzare il disegno divino.


Perché Giustiniano?
A Giustiniano viene affidata la più completa celebrazione dell'Impero romano come strumento provvidenziale dell'organizzazione politica della cristianità. Perché proprio lui? Dante gli riconosceva un ruolo di eccezionale rilievo come restauratore dell'unità imperiale, per tre motivi:
  1. il primo si riferisce all'unità giuridica, e si basa sulla sua opera principale, il Corpus iuris civilis, che riorganizzando l'intero corpo delle leggi romane unificò e diede fondamento al diritto di tutto il mondo (cfr. i vv. 10-12 e 22-24);
  2. il secondo si riferisce all'unità religiosa, simboleggiata dal ripudio dell'eresia monofisita che separava la cristianità d'Oriente da quella d'Occidente (cfr. i vv. 13-21);
  3. il terzo si riferisce all'unità politico-territoriale, con le guerre condotte per il ricongiungimento dell'Italia e dell'Africa settentrionale all'Impero (cfr. i vv. 25-27).


Romeo di Villanova
Nella figura del pellegrino Romeo, servo fedele — ma anche oculato e diplomatico — del suo signore, condannato poi dall'invidia altrui ad andare mendicando per strade straniere, è evidente il riferimento autobiografico (e auto-celebrativo) del poeta: anche lui si era dedicato con amore e disinteresse alla vita politica della sua Firenze, e si era poi trovato calunniato e condannato all'esilio.


L'aquila imperiale
L'intera ricostruzione storica del potere di Roma, con la relativa riflessione sulla politica contemporanea, si fonda poeticamente sull'immagine del volo dell'aquila imperiale dai tempi delle origini fino all'attualità. Il significato simbolico dell'aquila, animale considerato superiore in tutta la cultura medievale, occupa nel Paradiso spazi di valore assoluto: qui rappresenta l'Impero, e più avanti costituirà la raffigurazione della Giustizia.


Nomi geografici e nomi di persona
Per raccontare i grandi eventi della storia romana, Dante ricorre all'uso di nomi propri che si riferiscono a luoghi geografici o a personaggi storici e del mito. In particolare, rileviamo il ricorso costante ai nomi di fiumi (Po, Varo, Reno, Isara, Era, Senna, ecc.) nell'indicazione di precise località e nella biografia poetica dei personaggi.



Commento

Sulle ali dell'aquila
Il discorso politico, uno dei temi chiave della Commedia, trova, nel canto VI del Paradiso, il suo suggello dalla viva voce dell'imperatore Giustiniano. La storia dell'aquila, simbolo del potere politico dell'imperatore, sorge da molto lontano, dall'epoca della guerra di Troia. Pochi scamparono alla distruzione della città, e tra questi Enea, il nipote di Priamo, che portò i Penati troiani nel Lazio e fondò la stirpe dei Romani. L'edificazione dell'impero costò sangue e sofferenze. Per essa morirono Pallante, la vergine Camilla, Eurialo e Niso: nei versi danteschi sfilano tutti gli eroi dell'antico passato, quelli della monarchia, della repubblica e dell'impero, sino agli episodi salienti dell'escatologia cristiana: la nascita di Gesù e la sua condanna a morte. Eventi decisivi per l'umanità, le cui sorti, di qui in avanti, risultano segnate dall'incontro fra cristianesimo e impero. Toccherà a quest'ultimo farsi, con Costantino, promotore ufficiale della fede cristiana. La giustizia sulla terra si realizza tuttavia anche con le leggi, e il grandioso lavoro di sistemazione del patrimonio giuridico del passato, attuato da Giustiniano col Corpus iuris civilis, si erge a monumento del
l'umanità. Quando si afferma che la legge non può essere dell'una o dell'altra fazione e non può servire interessi di parte perché è patrimonio di tutti, si esprime un concetto di uguaglianza umana attuale in ogni tempo, benché spesso disatteso. Ma proprio l'alto senso di giustizia che trasvola per tutto il canto sulle ali dell'aquila induce a riflettere su un'ingiustizia che segnò la memoria dell'uomo medievale. Romeo di Villanova, uomo onesto e probo, per l'invidia dei cortigiani fu costretto a elemosinare il pane "pezzo per pezzo" come un qualsiasi mendico. Dietro Romeo, come è facile intuire c'è l'ombra dolente di Dante Anch'egli saprà come sa di sale / lo pane altrui (cfr. Paradiso XVII, vv. 58-59) perché la meretrice (cfr. Inferno XIII, v. 64), cioè l'invidia che popola il mondo, ha colpito ancora una volta: ma quanta dignità nel pellegrino che umilmente tende la mano! Romeo e Dante conservano lo sguardo limpido e forte delle schiere dei poveri, che innocenti in ogni tempo vanno mendicando per sopravvivere. Eppure anche per loro risuona alta l'affermazione di Giustiniano: la legge e il diritto sono cose sacre e appartengono a tutti.


VEDI ANCHE: Paradiso Canto 6 - Figure retoriche



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